“Ora parlo dei film, giuro” – Cronistoria del Cinedeaf 2013

Cinedeaf 2013 – Festival Internazionale Cinema Sordo
29 novembre/01 dicembre 2013 Teatro Vascello, Roma

Venerdi, 29 novembre
75. Devo ricordarmi questo numero. Linea 75, quella che mi porterà proprio di fronte al Teatro Vascello nel cuore di Monteverde Vecchio. Questo autobus attraversa mezza Roma, io sono in mega ritardo, fuori è buio e fa decisamente troppo freddo, ma proprio mentre mi chiedo dove dovrò scendere, visto che non ho la più minima idea di dove mi trovi, mi giro e quasi addosso a me vedo un ragazzo e una ragazza che segnano tra loro, e penso “È fatta!”.

Basta usare gli occhi, seguire loro e mi porteranno dritto a destinazione, altro che gugol map.
Infatti l’intuizione è giusta e mi seguirà per tutto il festival: basta usare gli occhi.

981003_554525374630858_993173541_oIl Cinedeaf è un festival, giunto quest’anno alla sua seconda edizione, organizzato dall’Istituto Statale per Sordi di Roma, che offre una panoramica sul Deaf Cinema, cioè quel cinema che, a livello internazionale, oltre a occuparsi del tema della sordità, con registi sordi e non, utilizza molto spesso la lingua dei segni invece del parlato e che in pratica è quel cinema che di sicuro non vedrai mai nel multisala vicino casa tua, e molto probabilmente neanche nei cinema d’essai, se ancora esistono.
Un festival che si occupa di una marginalità, quindi, ma che vedendo la quantità di gente che affolla l’entrata del teatro, tanto al margine non mi sembra. Una marea di mani che si muovono, stralci di suoni gutturali, occhi che guizzano da tutte le parti, sorrisi, è quello che ti colpisce appena arrivi e capisci che forse sei già all’interno di un evento diverso.

Secondo me, infatti, lo spettacolo del Cinedeaf è in gran parte “fuori” dalla sala, e cioè: nel foyer del teatro, nei corridoi, nel marciapiede davanti l’entrata, dove questa marea di gente si incontra, scambia contatti, si aggiunge sul feisbuc (proprio come noi), rimorchia, parla e discute segnando, sotto gli occhi attoniti dei passanti. (Due signore di passaggio: signora1: “Ma che cos’è? Chi sono?” Signora 2: “Sono i sordi, signora!” Signora 1:”Chi???”  Signora 2: “I SOOORDIIII”.)

Vabbè, parliamo dei film.

Mi devo ricordare dell’unica intuizione seria avuta all’inizio: basta usare gli occhi. Infatti, come forse è facile immaginare, trattasi di un cinema prettamente visivo, nella maggior parte dei casi rivolto ad un pubblico sordo, e come mi fanno notare, non molto abituato a questa forma d’arte… eh sì, perché se nei film normali non mettono i sottotitoli, i sordi non capiscono granché, che poi in realtà anche i nostri sottotitoli per loro non è che vadano benissimo per una serie di motivi tecnici, ma questo sarebbe troppo lungo da spiegare… ammesso che io lo sappia spiegare.

Poi ci sono i presentatori del festival, e qua ci vorrebbe un libro.
È tutto un sistema complicatissimo di traduzioni, quello delle presentazioni dei film in sala, che provo a spiegare in maniera spiccia (ma che non sono così sicuro di aver capito anch’io): allora, il presentatore ufficiale segna in LIS (lingua dei segni italiana), mentre una voce traduce per gli udenti, mentre una tipa seduta ripete in LIS che a sua volta la spara all’interprete numero due che traduce in lingua dei segni internazionale, e questo si complica se poi sul palco c’è uno di un’altra lingua allora, beh… Mi viene in mente che la comunicazione è davvero una cosa troppo complicata, ma in fondo trovo anche un po’ commovente che tutta questa gente lavori perché tutti (ma proprio tutti) capiscano. Ho capito pure io, pensa un po’.

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In tutto questo ancora non ho parlato dei film. Che poi la questione più complicata è il bagno, cioè volevo far presente che il Teatro Vascello non ha la chiusura delle porte del bagno, quel chiavistello che ti permette di fare quello che devi fare in pace, senza che nessuno entri, ecco… non c’è.

Quindi immagina che sei dentro tranquillo e qualcuno spinge la porta, tu dici: “Occupato!”, ma dimentichi che forse dall’altra parte c’è un sordo, che non sente nulla e continua a spingere. Io con questa storia mi sono beccato tre portate sulla schiena. Ora, caro Teatro Vascello, capisco che la cultura in Italia si trova in una situazione decisamente poco florida, ma compra tre chiavistelli per il bagno, da Bricofer costano 3,50 euro l’uno.

In tutto questo non ho ancora parlato dei film.

Entro alla seconda fascia oraria delle 18.30 e per via di un ritardo sostanzioso nelle proiezioni non ne uscirò che all’una di notte, abbastanza provato da fame e sete.
Ora forse vi chiederete com’è stare al cinema con un pubblico in maggioranza sordo. Ve lo dico io: è strano, ma ci fai l’abitudine. Se ti squilla il cellulare in sala, non fai di certo la figura del cafone, perché nessuno ti sente, anche se rimani comunque un cafone, questo sì. Ma la cosa più divertente è sentire risate ad alta voce, accenni di parole, voci improvvise… entusiasmo, in poche parole, e questo è bellissimo perché sembra di essere in una sala insieme a persone vive, che esprimono le loro emozioni senza farsi troppi problemi e non con dei morti imbalsamati.

I sordi sono un bel pubblico rumoroso, direi. Ma viva questo rumore.

Ora parlo dei film, giuro.

Ci sono due categorie in concorso, documentari e fiction. Detto questo, nella maggior parte dei casi i temi trattati nel Deaf Cinema si posso ridurre a due filoni: uno è il tema del riconoscimento della lingua dei segni, delle lotte fatte per questo e delle conquiste; quindi un cinema più sociale e documentaristico. L’altro è quasi sempre la storia di un sordo che vuole fare qualcosa di impossibile per lui, tipo l’astronauta, il lottatore o soltanto il semplice farmacista, e quindi il percorso che questa persona fa per conquistare questo sogno. I risultati sono, come in tutti i casi, alterni, cioè ci sono opere molto valide (specialmente i documentari) e altre più ingenue, e il risultato non cambia se dietro la macchina da presa ci sia un sordo o un udente.

Oggi, tra i tanti vedo un bellissimo documentario indiano Beyond Silence di Vidyut Latay, sulla situazione della sordità in India, osservata in maniera molto spontanea e oserei dire gioiosa, che affronta anche l’argomento della disabilità, e cioè se la sordità possa essere considerata tale. Divertente la scena dove un gruppo di sordi spiega la sua condizione a degli studenti universitari e dice: “Per noi i disabili siete voi che ci sentite”.

Altro film molto bello è Yuzuriha di Kentaro Hayase, proveniente dal Giappone, paese che sarà molto presente in questa edizione del Festival. Una bella riflessione sulla discendenza, sul ricambio generazionale tra padri e figli, uno dei pochi film che tenta anche di andare oltre la questione della sordità, che pure rimane centrale. Un film in tutto e per tutto, che secondo me potrebbe trovare ottimo riscontro anche in un pubblico più generalista.

All’una e mezza di notte impresa impossibile è invece trovare un posto dove mangiare. A Monteverde la notte si dorme, giustamente, così decido di adeguarmi.

Sabato, 30 Novembre
È una giornata bellissima, di quelle che fa quasi senso entrare in un cinema, ma tant’è, siamo nati per soffrire, noi. La prima immersione è alle 16,30 e si parte con un bellissimo documentario, forse il più bello visto qui: A life without words di Adam Isemberg. La cinepresa segue un assistente sociale in giro per le zone più rurali e dimenticate del Nicaragua alla ricerca di persone sorde, per cercare di dar loro assistenza. Viene trovata una famiglia con tre figli sordi, in uno stato di arretratezza davvero impressionante, persone senza alcun accesso al linguaggio, dimenticate dal mondo. Il film ha una sua delicatezza nel muoversi e nel descrivere lo stato di questi tre ragazzi in modo davvero commovente; ne escono tre figure di una naturalità e bellezza drammatica, che sarebbero piaciuti al vecchio Truffaut e che noi è dai tempi del neorealismo italiano che non vediamo più. Davvero bello e toccante, ma non riesco a capire se il regista sia udente o sordo.

L’evento speciale non in concorso è invece il film di Ayako Imamura, regista sorda giapponese, The Connecting Bridge 3/11 that wasn’t heard, sul terremoto in Giappone del 2011 e sulla difficoltà che hanno avuto le persone sorde durante i soccorsi. Molte persone infatti sono morte perchè non avevano accesso ai segnali di soccorso e sono rimaste tagliate fuori. Il film è anche il documento sul grande lavoro che le associazioni sorde giapponesi hanno fatto per aiutare e assistere le persone sopravvissute.

Poi vedo Retreat di Ted Evans, regista vincitore della scorsa edizione, apocalittico, e il divertentissimo Dios hay? di Veru Rodriguez, un cortometraggio con un esilarante dialogo con un insolito Dio sordo a cui personalmente do la palma per la battuta migliore del festival (Gesù: “Sai, papà, sono stato sulla terra… ma non è andata molto bene.. Mi hanno torturato e crocifisso, molto volte ho invocato il tuo aiuto, perché non mi hai ascoltato?” Dio: “Scemo, ma non lo sai che tuo padre è sordo?!!”). Il resto dei film vabbè.

Domenica, 1 dicembre. Serata finale.
Monteverde Vecchio è davvero uno strano quartiere, pieno di belle case, villette e signore con il cagnolino. Troppo silenzio, non pare di essere a Roma. Scegliere di fare un festival sulla sordità in un quartiere cosi silenzioso, mi pare un controsenso, o peggio, malcelata ironia.

Devo dire che nonostante gli orari inflessibili, dettati dalla dura legge di Kronos, che costringono a inesistenti pause tra un ciclo di film e l’altro, tutto fila alla meraviglia, non ci sono intoppi, i film filmano, gli interpreti interpretano, gli usceri staccano biglietti e oggi la gente mi pare addirittura aumentata.

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Alle 15.00 c’è un workshop sul Japan Deaf Cinema, ma io preferisco bermi un aperitivo al bar, mentre alle 16,30 mi sbrigo ad entrare perché c’è il documentario di Carole Sionnet che si chiama Culture Sign. Il documentario parla della regista, udente, che si trova in Giappone ed è un po’ in difficoltà nel comunicare con una lingua e una cultura cosi diversa. Ma lei conosce la lingua dei segni e riesce a trovare una chiave per capire questo paese proprio grazie alle persone sorde e ai segni. Il documentario parla proprio del lento avvicinamento a una cultura lontana, in questo modo cosi particolare e insolito per un udente. Davvero molto affascinante. Seguono documentari vari e cortometraggi tra cui spicca Still Here di Luis Neethling, il Woodie Allen dei sordi, che fa delle commedie molto divertenti e completamente recitate in lingua dei segni.

Dopo altri due film fuori concorso è tempo di premiazioni e ringraziamenti, e alla fine vincerà proprio il film sul Nicaragua, ma giuro che io non c’entro nulla, c’era un’autorevole giuria chiamata per questo. Premi anche a Retreat, a Who Cares (documentario sulla situazione dei sordi anziani) e a un documentario italiano Segna con me, molto dinamico.

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Ma quello che salta agli occhi più di tutto, alla fine, è anche il grande lavoro che si è fatto perché tutto questo esista e sia stato, da un punto di vista organizzativo, impeccabile: il Cinedeaf è un festival piccolo, senza grandi finanziamenti, anzi la maggioranza delle persone ci ha lavorato gratis, non ci sono le celebrità, i red carpet (casomai i deaf carpet!) eppure mi pare che funzioni alla grande e sia molto più vitale di tanti festivaloni importanti.

Il cinema che ne esce fuori sarà anche imperfetto, non esente in alcuni casi da ingenuità ed errori, ma comunque in crescita stilistica e, cosa fondamentale, alla ricerca di una sua strada. Stiamo parlando di un cinema marginale, a volte di servizio, che si fa voce di una minoranza.  E poi diciamoci la verità, oggi il nostro cinema non gode davvero di una salute splendida, anzi, pare un morto che cammina tenuto in vita a botte di 3D, e se dobbiamo trovare dei film che si pongano seriamente il problema della verità, della spontaneità e della problematicità dei nostri tempi è proprio alle piccole produzioni e realtà che dobbiamo rivolgerci, al cinema delle marginalità, capace ancora di qualche guizzo critico e vitale.

Ecco perché oggi un festival come questo ha ancora più senso di esistere.

– Cristiano Mancini –

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