A ROMA È DI NUOVO FESTA DEL CINEMA

È di nuovo Festa, non più Festival. Nei suoi 10 anni di vita, la kermesse romana dedicata al cinema ha sempre cercato un suo posto nell’universo festivaliero internazionale, confrontandosi di volta in volta con manifestazioni di gran lunga superiori e storicamente più quotate. Ci sono stati anni in cui sono cambiate idee e direttori artistici, edizioni in cui sono comparse nuove categorie competitive, altre in cui si è puntato maggiormente su successi commerciali e star a spasso sul red carpet. Per ben due volte, addirittura, si è arrivati a cambiare denominazione.

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Quella del 2015 è stata, appunto, un’altra edizione all’insegna della volontà di cambiamento. Non più “Festival Internazionale del Film” ma “Festa del Cinema di Roma”, ovvero un ritorno alle origini. Perfettamente coerente e in linea con questa nuova idea di Festa, il direttore artistico Antonio Monda – al suo debutto – ha eliminato giurie, categorie e ogni tipo di competizione. Tutti i film sono stati inseriti nel gran calderone della Selezione Ufficiale, senza distinzioni estetiche, di genere, di durata. Nessun vincitore, se non il cinema stesso.

A dirla tutta, un vincitore c’è stato. È “Angry Indian goddesses” di Pan Nalin, votato e premiato dal pubblico, per ribadire ancor di più che si è trattato di una manifestazione in cui gli spettatori hanno avuto l’unico potere decisionale.

Spettatori che però stando ai numeri appena divulgati dall’organizzazione, sono diminuiti. Complice di questa piccola disaffezione è stata probabilmente la quasi totale assenza di star hollywoodiane sul tappeto rosso, colmata tuttavia dalla buona qualità dei film in concorso.

Dare giudizi sulla qualità artistica di un festival non è mai facile. Bisognerebbe aver visto veramente tutti i film per decretare con precisione la riuscita dell’evento. Eppure le 25/30 pellicole che un buon cinefilo/appassionato può riuscire a vedere nel fitto calendario di 9 giorni, testimoniano già qualcosa.

wolfpack

Tra le opere da segnalare, ci sono autori più o meno conosciuti, film molto diversi tra loro, tematiche sociali importanti e alcune caratteristiche comuni che hanno destato non poca curiosità. In questo senso, si è delineato un certo cinema sulla reclusione, con personaggi “imprigionati” tra quattro mura per i motivi più disparati. È il caso di “The Wolfpack”, documentario americano diretto da Crystal Moselle, già premiato al Sundance Film Festival e presente nelle sale italiane da questa settimana. È la Storia di sette fratelli costretti dai propri genitori a vivere rinchiusi in casa fino a tarda età adolescenziale, senza possibilità di comunicare con l’esterno. Una storia forte raccontata con la giusta dose di leggerezza e un discorso d’amore verso il cinema come evasione fisica e mentale.

Un diverso tipo di reclusione invece in “Room” di Lenny Abrahamson, co-prodotto tra Canada e Irlanda. Film drammatico e potente, già visto al Festival di Toronto. Con un’ottima (ri)costruzione narrativa da thriller, ci fa vivere il dramma di una mamma e del suo bambino, nato e cresciuto per sette anni in una stanza di pochi metri quadri. Pellicola tesa che fa presa su emozioni forti, tratta da una sconvolgente storia vera e raccontata con estrema lucidità e intelligenza dal regista irlandese. Di diversa natura è la co-produzione franco-turca “Mustang” della regista Deniz Gamze Ergüven, che discorre sulla condizione delle donne e di un certo tipo di società turca. Storia di quattro sorelle molto giovani costrette a stare chiuse in casa dopo aver mostrato comportamenti “disdicevoli” per la società. Le ragazzine non avevano fatto altro che giocare con i loro coetanei maschi all’uscita di scuola. Tanto basta per far iniziare la loro prigionia. Le ragazze non comprendono, non accettano, poi si ribellano. Lo sguardo registico è sensibile e il tema è mitigato nei toni dalla vitalità della scrittura e dei personaggi coinvolti. Il film è stato già presentato a Cannes e Toronto e scelto dalla Francia come proprio rappresentate ai prossimi Oscar.

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Chiude questo cerchio l’argentino “Eva no duerme” di Pablo Agüero, dove la protagonista in realtà è morta e chiusa in una cassa di legno. Siamo nell’Argentina del 1952 ed Eva Peron è appena deceduta. Il film segue letteralmente il suo corpo imbalsamato che non troverà pace per tantissimi anni e attorno al quale ruoteranno le diverse vicende della pellicola. Il film avanza per blocchi distinti con personaggi diversi. La complessa storia argentina del XX secolo esce fuori dai dialoghi di chi è coinvolto: militari, politici, rivoluzionari. Ogni sequenza è ambientata in luoghi stretti e oscuri, somiglianti ad astratti set teatrali. Un film allo stesso tempo piccolo e intimo ma immensamente grande per la Storia.

Carol

Carol

Discorso finale a parte per due “eventi” della Festa. Il primo è “Carol” di Todd Haynes, già visto al Festival di Cannes e proiettato a Roma in occasione dell’incontro con il regista americano. Il film è di un’elegante e raffinata bellezza, tecnicamente notevole con due protagoniste straordinarie: Cate Blanchett e Rooney Mara. Siamo nella New York degli anni ’50 e le due donne si incontrano prima e si innamorano poi. Ai tempi l’omosessualità era vista come una malattia, per cui la loro relazione si complica ancor prima di iniziare. Il melodramma è condito da sguardi e silenzi che riempiono lo schermo. Niente sembra essere fuori posto nel delicato racconto di Haynes. Il film uscirà nelle sale italiane nel 2016.

The walk

The walk

Il secondo “evento” è l’ultimo film di Robert Zemeckis, “The Walk”, presentato proprio nei giorni del “Ritorno al Futuro Day”. La storia (vera) è piuttosto nota ed era stata già spunto dell’ottimo documentario “Man on Wire”, presente a Roma nel 2008. Philippe Petit è un funambolo francese con un unico grande sogno: stendere una fune tra le Torri Gemelle e camminarci sopra. Il film racconta tutte le fasi più importanti della vita di Petit e lo fa con un ritmo indiavolato fino al momento clou, la performance vera e propria. A questo punto, Zemeckis mette in scena una sequenza da brividi e mai come in questo caso il 3D può considerarsi perfetto. Un film che non racconta solo una grande impresa umana, ma che parla di sogni e di forza di volontà. Cinema mainstream piacevole e ben confezionato.

Cristian Scardigno

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