L’estate di Max Richter

È estate e quindi è arrivato il momento di parlare di Max Richter.
Procediamo con ordine.
Max Richter è un compositore britannico nato in Germania, allievo di Luciano Berio, esponente del post-minimalismo ed autore mirabile di colonne sonore per il cinema (il brano On the Nature of Daylight è stato recentemente utilizzato in Arrival di Denis Villeneuve).
Nel 2012 Richter, che fino ad allora si era mosso nel campo della sperimentazione, si mette in testa di fare qualcosa di rischioso e decisamente poco simpatico: ricomporre le Quattro Stagioni di Vivaldi.
Ora, nel cinema come nella musica, i revival mi fanno sempre sorgere una ed una sola domanda: perché? Risponde Richter, spiegando che tutto è nato da una sua esigenza personale e dice testualmente: «sono sempre stato innamorato delle Quattro Stagioni, fin da piccolo. Poi crescendo ho incominciato a sentirle ovunque, nei centri commerciali e negli ascensori, nelle segreterie telefoniche e in pubblicità. A un certo punto ho smesso di amarle, le ho odiate anzi. Riscriverle è stato come guidare attraverso un meraviglioso paesaggio conosciuto usando una strada alternativa per apprezzarlo di nuovo come la prima volta».
Mi piace immaginare Max Richter come un uomo che deve assolutamente darsi da fare per aggiustare una storia d’amore alla deriva e che si lancia in un ultimo gesto romantico: o la va o la spacca.
Si mette dunque a tavolino e comincia il suo imponente art attack: la “ricomposizione” non sarà un semplice adattamento digitale dell’originale secentesco, ma un meticoloso lavoro di cesello al fine di recuperare ogni singola nota dello spartito originale per poi tagliare, incollare e riscrivere daccapo, con un nuovo respiro, le partiture.
Tre quarti degli spartiti originali vengono fatti fuori e la rilettura in chiave postmoderna del capolavoro barocco è pronta. È qui che entra in gioco la Deutsche Grammophon, pietra miliare della musica classica, che pubblica il cd con il titolo “Recomposed by Max Richter: Vivaldi – The Four Seasons”.
Il risultato è semplicemente maestoso.
Strumenti e concezioni sonore attuali convivono con una squisita selezione delle antiche partiture, come se il genio vivaldiano le avesse concepite e Richter le avesse confezionate ad hoc.
L’effetto è potente specie quando, dal sottofondo astratto degli archi campionati e ripetuti in loop, si stagliano le parti originali eppure rinnovate del violino solista, suonato da Daniel Hope.
Ritcher non risparmia neanche il famoso incipit primaverile (pa-pa-pa-parapà), ridotto ad un’eco brevissimo, lontano e spezzettato all’interno di un più rigoglioso tappeto sonoro.
Questa lunga premessa serviva a spiegare l’associazione Estate-Max Richter.
L’estate vivaldiana rimaneggiata dal nostro, diventa Summer I, Summer II e Summer III. Un climax ascendente di meraviglia. Di tutta la rielaborazione ritcheriana, questi sono i tre brani a mio avviso più lodevoli, più gloriosi, più belli.
Summer I è il risveglio della natura e la sua vigorosa esplosione. Summer II è struggimento puro. Summer III è potenza, è bellezza irruente e tremenda.
Stati d’animo si rincorrono in moti circolari, si rovesciano in impeti e stacchi improvvisi, martellano nel loro modo un po’ pazzo e ossessivo di procedere. Il violino di Daniel Hope è furioso.
Mentre i tormentoni estivi molestano le mie orecchie, è con questi tre inni che io invece decido di omaggiare l’Estate, stagione dell’aestus, che arde e fa ardere gli animi.
Buon ascolto.
MAX RITCHER Summer I, II E III
Diletta Cirilli